04 Luglio 2019


Con­trat­ti di La­vo­ro: come aiu­ta­re le azien­de ad es­se­re sem­pre in re­go­la

Oggigiorno, quando si parla di lavoro, si affronta una tematica estremamente delicata, articolata ed in costante evoluzione. I rapporti lavorativi, infatti, possono avere molteplici particolarità, per non parlare delle disposizioni in materia di qualificazione dei contratti di lavoro: per fare luce su un argomento tanto importante quanto spinoso occorre tracciare un quadro dettagliato su quelle che sono le ultime novità su lavoro e contratti. Fare Italia ha dunque il piacere di ospitare sulle proprie pagine la voce autorevole del Presidente della Commissione di Certificazione Contratti di Lavoro dell’Ente Bilaterale Nazionale Enbital Avv. Manuela Provino

Avv. Provino, cos’è la certificazione e quali sono i suoi effetti? 

La certificazione è una procedura volontaria, introdotta nel nostro ordinamento giuridico dal Decreto Legislativo 276 del 2003 (c.d. legge Biasi), mediante la quale le parti possono chiedere ed ottenere dalle Commissioni di Certificazione un accertamento sulla qualificazione del contratto volto a verificare ed accertare che il contratto che si vuole sottoscrivere, o che si è sottoscritto, abbia i requisiti di forma e contenuto richiesti dalla legge, e dare alle parti una maggiore certezza sulla natura e sulle caratteristiche del modello contrattuale da loro adottato, nonché, a seguito dell’approvazione del c.d. “Collegato lavoro” 2010 (Legge 183/2010), un accertamento circa la reale volontà delle parti nell’inserire singole clausole all’interno di contratti in cui “sia dedotta una prestazione di lavoro”. Lo scopo della certificazione è quello di ridurre il contenzioso in materia di lavoro. Per i contratti certificati, infatti, interviene il principio dell’inversione dell’onere della prova, in ragione del quale spetta a chi contesta la regolarità del contratto dimostrare eventualmente in giudizio l’invalidità dello stesso. Gli effetti del contratto certificato, inoltre, resistono anche all’accertamento ispettivo. L’organo di vigilanza che nel corso di una ispezione rilevi dei vizi (ad esempio la difformità tra le modalità di svolgimento del rapporto e quelle proprie della tipologia contrattuale) non può intervenire sulla diversa qualificazione giuridica del contratto ma solo verbalizzare l’irregolarità riscontrata. L’unico strumento utile per mettere in discussione la natura del contratto certificato è il ricorso alla via giurisdizionale. 

Qual è l’ambito d’applicazione dell’istituto di certificazione dei contratti? 

Il campo di applicabilità dell’istituto in questione è delineato dall’art. 75 della legge Biasi, che espressamente ne prevede il possibile ricorso con riferimento a qualunque contratto in cui sia dedotta, anche indirettamente, una prestazione di lavoro, anche con riferimento al contratto di apprendistato. Medesima applicabilità è quindi possibile per il lavoro accessorio, per il contratto in partecipazione e soprattutto nell’appalto. In questa fattispecie, prevista dell’articolo 1665 del codice civile, certificare il contratto come dichiarato all’articolo 84 della legge 276 del 2003, porrebbe una garanzia nelle fasi di attuazione del contratto stesso. Ai fini prudenziali, e nell’ottica della responsabilità solidale, disporrebbe anche una corretta distinzione tra appalto genuino e somministrazione di manodopera. Un ulteriore ambito d’applicazione riguarda i procedimenti di transazione e rinuncia, per avvalorare la volontà delle parti e la clausola definitiva del nulla a pretendere, come disposto dall’articolo 2113 del codice civile

Qual è l’ambito territoriale di operatività della commissione che presiede? 

A differenza delle Commissioni create presso altri istituti (quali Università, Ispettorati del lavoro ecc.), la Commissione di Certificazione ENBITAL, essendo istituita presso un ente bilaterale che opera in ambito nazionale ed europeo, può certificare i contratti stipulati in qualunque parte d’Italia, indipendentemente dal luogo in cui i datori di lavoro hanno sede (o una loro dipendenza) o dove sarà addetto il lavoratore contraente. 

Da quando decorrono gli effetti della certificazione? 

In base alla disciplina originaria, gli effetti dell’accertamento compiuto dalla Commissione, anche nei confronti di terzi, decorrevano a far data dalla sottoscrizione del provvedimento. La Legge 183/2010 ha modificato tale disciplina, disponendo all’art. 30, co. 17, che “gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro, nel caso di contratti in corso di esecuzione, si producono dal momento di inizio del contratto, ove la commissione abbia appurato che l’attuazione del medesimo è stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede”, precisando inoltre che “in caso di contratti ancora non sottoscritti dalle parti, gli effetti si producono soltanto ove e nel momento in cui queste ultime provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla commissione adita”.

Qual è la funzione della commissione? 

La funzione della Commissione è quella di stabilire che vi sia corrispondenza tra la volontà espressa dalle parti contrattuali ed il contenuto del contratto da certificare, e può essere diretta sia alla qualificazione del rapporto quanto all’accertamento dell’autenticità delle clausole in esso presenti. La Legge 183/2010 ha inoltre previsto che le parti, in sede di certificazione del contratto, possano tipizzare determinate condotte del prestatore di lavoro ai fini della valutazione di giusta causa e di giustificato motivo del licenziamento, condotte di cui il Giudice dovrà “tenere conto” nel giudizio sull’impugnazione avverso tale provvedimento. A ciò si aggiunga che la certificazione può essere utilizzata anche: 

1. Per il deposito dei regolamenti interni delle cooperative di lavoro, con riferimento alla tipologia dei rapporti di lavoro attuati o che si intendono attuare con i soci; 

2. Per avallare le rinunce e transazioni di cui all’art. 2113 c.c., al fine di verificare l’effettività della volontà abdicativa o transattiva delle parti; 

3. In sede di stipulazione di un contratto di appalto ex. art. 1655 c.c. e di attuazione del relativo programma negoziale; 

4. In materia di contratti utilizzati per lo svolgimento di attività all’interno di luoghi confinanti o a rischio di inquinamento ai sensi del D.P.R. n. 177/2011; 

5. Per l’applicazione di specifici istituti previsti dai contratti collettivi. 

Bisogna altresì ricordare che, con l’entrata in vigore della L. n.183/2010, il tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c. rimane obbligatorio unicamente per i contratti certificati, divenendo facoltativo in tutti gli altri casi (v. art. 31, co. 2 Legge 183/2010) e che le Commissioni di Certificazione sono divenute gli unici soggetti abilitati alla (necessaria) certificazione dell’eventuale clausola compromissoria apposta al contratto di lavoro, ai fini dell’accertamento dell’effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le future controversie (ad esclusione di quelle riguardanti la risoluzione del rapporto). Le Commissioni di certificazione svolgono, in ottemperanza al dettato legislativo, anche attività di consulenza ed assistenza al datore e al lavoratore, sia in relazione alla stipulazione che alle modifiche del programma negoziale.  

Qual è l’iter da seguire per la certificazione? 

Il procedimento di certificazione del contratto si compone di più fasi: 1) PRESENTAZIONE DELL’ISTANZA – La certificazione si richiede mediante la compilazione di apposita istanza (in carta bollata) sottoscritta da tutte le parti contrattuali interessate, e depositata con tutta la documentazione necessaria presso la sede della Commissione, che valuta in via preliminare l’ammissibilità della domanda e procede successivamente all’eventuale apertura della fase istruttoria che si conclude (entro 30 giorni dalla ricezione dell’istanza) con il provvedimento (positivo o negativo) di certificazione. L’avvio della procedura di certificazione deve essere comunicato alla DTL competente (quella in cui ha sede la datrice di lavoro, con la precisazione che qualora quest’ultima dovesse avere sede in due o più provincie, la comunicazione dovrà essere effettuata direttamente presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali), che ha il compito di darne notizia a sua volta alle autorità pubbliche (INPS, INAIL ecc.) nei confronti delle quali la certificazione produrrà effetti. Il procedimento di certificazione deve concludersi entro 30 giorni (termine non perentorio) dal ricevimento della istanza mediante l’adozione dell’atto di certificazione. 2) ISTRUTTORIA – Ricevuta l’istanza, la commissione deve verificare l’esaustività della documentazione prodotta e può, qualora ritenga necessario acquisire ulteriori documenti, chiedere un’integrazione. In quest’ultimo caso, la comunicazione alla competente DPL va fatta dopo l’integrazione che, qualora non avvenisse nei 60 giorni successivi alla richiesta, potrebbe comportare l’adozione di un provvedimento di esclusione con l’indicazione della relativa clausola. Acquisita la documentazione necessaria ed eventualmente ascoltati i richiedenti, che possono essere invitati a partecipare alla riunione della Commissione, se quest’ultima lo ritenesse opportuno si procede alla qualificazione del contratto ed adozione del provvedimento finale. 3) DECISIONE – Terminata l’istruttoria, la commissione potrà ritenere il contratto conforme al modello legale ovvero rigettare la certificazione di un contratto, ritenendolo non conforme. In quest’ultimo caso può invitare le parti a presentare una nuova istanza, basandosi su presupposti differenti; fornendo, quindi, anche una consulenza preventiva, ad esempio su come debba essere redatto il contratto. Il provvedimento di certificazione adottato ha natura di provvedimento amministrativo; deve perciò essere motivato ed indicare l’autorità cui è possibile fare ricorso, oltre all’esplicita menzione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione. 

Presso quale autorità è possibile proporre ricorso? 

Il ricorso è possibile seguendo due strade a seconda delle motivazioni addotte, come indicate dallo stesso articolo 80 della relativa normativa, sia da parte del datore di lavoro che del lavoratore o di eventuali terzi che ne abbiano interesse diretto: 

Ricorso al Giudice del Lavoro – è possibile presentare ricorso al Giudice del Lavoro per motivazioni specifiche, quali l’erronea qualificazione del contratto, con effetti retroattivi alle origini dell’accordo o, per la difformità tra quanto certificato e quanto in realtà poi attuato, con effetti dall’accertamento della difformità. Ma in questo caso, a meno che non si palesino evidenti e provati fatti, rimarrebbe l’onere della prova. Si aggiungono: i vizi di consenso (motivazione su cui la dottrina ha dibattuto a lungo, innanzitutto per il requisito di volontarietà con cui le parti addivengono alla certificazione dei contratti di lavoro, accertato dalla Commissione ed inserito nel verbale). Risulta così di non facile attuazione provare un consenso carpito, a meno che non si sottintenda anche un profilo penale di dolo e corruzione, o di incapacità di intendere e volere non compresa dalla commissione all’atto dell’eventuale audizione. 

Ricorso al TAR – è possibile invece, ricorrere al Tribunale Amministrativo Regionale ove si constati la violazione nel procedimento, con invalidazione del procedimento di certificazione del contratto, o dove si ravvisi un eccesso di potere. In questo modo si porrebbe ancora in discussione l’operato della Commissione, identificando l’eccesso di potere come ingerenza di ultra competenza, quindi in contrasto con le buone pratiche. In base al tipo di ricorso si avranno differenti effetti sul contratto; se infatti ricorrendo al TAR la sentenza si riverbera solo sull’atto di certificazione e non sul contratto, nel caso di ricorso al Giudice, opera una sorta di impermeabilizzazione della qualifica del contratto. 

Ricorso alla Commissione Certificatrice – il ricorrente, prima di adire alle vie ordinarie, dovrà rivolgersi, a norma dell’articolo 410 del codice di procedura civile, alla stessa Commissione che abbia concesso la certificazione dei contratti di lavoro per avviare la procedura di conciliazione. Nel caso di fallita conciliazione, gli interessati devono agire perseguendo l’obiettivo di mutare la qualificazione del contratto certificato, sulla scorta dell’articolo 79 della legge 276 del 2003. Con la precisazione che il contratto certificato rimane protetto sino a che il Giudice dichiari invalida la qualificazione contenuta nel provvedimento di certificazione. La stessa regola vale anche per la Pubblica Amministrazione, che subirà il limite posto dal citato articolo 79 e dovrà dapprima agire per la mutazione della qualificazione del contratto, e solo in seguito potrà effettuare controlli ed accertamenti ed applicare sanzioni, laddove non si rendessero necessari provvedimenti con carattere di urgenza.