Il Garante per la protezione dei dati personali ha
aggiornato alcune Faq relative al trattamento dei dati nel contesto lavorativo
in relazione all'emergenza sanitaria.
1. IL DATORE DI LAVORO PUÒ RILEVARE LA TEMPERATURA
CORPOREA DEL PERSONALE DIPENDENTE O DI UTENTI, FORNITORI, VISITATORI E CLIENTI
ALL’INGRESSO DELLA PROPRIA SEDE?
Nell’attuale situazione legata all’emergenza epidemiologica,
si sono susseguiti, in tempi assai ravvicinati, in ragione dell’aggravarsi
dello scenario nel contesto nazionale, numerosi interventi normativi e
conseguenti atti di indirizzo emanati dalle istituzioni competenti che, al fine
di individuare misure urgenti in materia di contenimento e gestione
dell’emergenza epidemiologica, hanno stabilito che, i datori di lavoro, le cui
attività non sono sospese, sono tenuti a osservare le misure per il
contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica contenute nel
Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il
contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro tra
Governo e parti sociali del 14 marzo 2020..
In particolare, il citato Protocollo prevede la rilevazione
della temperatura corporea del personale dipendente per l’accesso ai locali e
alle sedi aziendali, tra le misure per il contrasto alla diffusione del virus
che trovano applicazione anche nei confronti di utenti, visitatori e clienti
nonché dei fornitori, ove per questi ultimi non sia stata predisposta una
modalità di accesso separata (cfr. Protocollo par. 2 e 3 e nota n. 1).
Analoghi protocolli di sicurezza, con riguardo alle attività
pubbliche non differibili o ai servizi pubblici essenziali, sono stati
stipulati dal Ministro per la pubblica amministrazione con le sigle sindacali
maggiormente rappresentative nella pubblica amministrazione (come il Protocollo
di accordo per la prevenzione e la sicurezza dei dipendenti pubblici in ordine
all’emergenza sanitaria da “Covid-19” del 3 e 8 aprile 2020) in quanto le
misure per la sicurezza del settore privato sono state ritenute coerenti con le
indicazioni già fornite dallo stesso Ministro con la direttiva n. 2/2020 e con
la Circolare n. 2/2020.
In ragione del fatto che la rilevazione in tempo reale della
temperatura corporea, quando è associata all’identità dell’interessato,
costituisce un trattamento di dati personali (art. 4, par. 1, 2) del
Regolamento (UE) 2016/679), non è ammessa la registrazione del dato relativo
alla temperatura corporea rilevata, bensì, nel rispetto del principio di
“minimizzazione” (art. 5, par.1, lett. c) del Regolamento cit.), è consentita
la registrazione della sola circostanza del superamento della soglia stabilita
dalla legge e comunque quando sia necessario documentare le ragioni che hanno
impedito l’accesso al luogo di lavoro.
Diversamente nel caso in cui la temperatura corporea venga
rilevata a clienti (ad esempio, nell’ambito della grande distribuzione) o
visitatori occasionali anche qualora la temperatura risulti superiore alla
soglia indicata nelle disposizioni emergenziali non è, di regola,
necessario registrare il dato relativo al motivo del diniego di accesso.
2. L’AMMINISTRAZIONE O L’IMPRESA POSSONO RICHIEDERE AI
PROPRI DIPENDENTI DI RENDERE INFORMAZIONI, ANCHE MEDIANTE UN’AUTODICHIARAZIONE,
IN MERITO ALL’EVENTUALE ESPOSIZIONE AL CONTAGIO DA COVID-19 QUALE CONDIZIONE
PER L’ACCESSO ALLA SEDE DI LAVORO?
In base alla disciplina in materia di tutela della salute e
della sicurezza nei luoghi di lavoro il dipendente ha uno specifico obbligo di
segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e
la sicurezza sui luoghi di lavoro (art. 20 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81). Al
riguardo la direttiva n.1/2020 del Ministro per la pubblica amministrazione ha
specificato che in base a tale obbligo il dipendente pubblico e chi opera a
vario titolo presso la P.A. deve segnalare all’amministrazione di provenire (o
aver avuto contatti con chi proviene) da un’area a rischio. In tale quadro il
datore di lavoro può invitare i propri dipendenti a fare, ove necessario, tali
comunicazioni anche mediante canali dedicati.
Tra le misure di prevenzione e contenimento del contagio che
i datori di lavoro devono adottare in base al quadro normativo vigente, vi è la
preclusione dell’accesso alla sede di lavoro a chi, negli ultimi 14 giorni,
abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 o provenga da
zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS. A tal fine, anche alla luce
delle successive disposizioni emanate nell’ambito del contenimento del contagio
(v. Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il
contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro
sottoscritto il 14 marzo 2020 fra il Governo e le parti sociali), è possibile
richiedere una dichiarazione che attesti tali circostanze anche a terzi (es.
visitatori e utenti).
In ogni caso dovranno essere raccolti solo i dati necessari,
adeguati e pertinenti rispetto alla prevenzione del contagio da Covid-19, e
astenersi dal richiedere informazioni aggiuntive in merito alla persona
risultata positiva, alle specifiche località visitate o altri dettagli relativi
alla sfera privata.
3. È POSSIBILE PUBBLICARE SUL SITO ISTITUZIONALE I
CONTATTI DEI FUNZIONARI COMPETENTI PER CONSENTIRE AL PUBBLICO DI PRENOTARE
SERVIZI, PRESTAZIONI O APPUNTAMENTI PRESSO LE AMMINISTRAZIONI NELLA ATTUALE
EMERGENZA EPIDEMIOLOGICA?
Le disposizioni normative per il contenimento e la gestione
dell’emergenza epidemiologica e le indicazioni operative fornite dalle
istituzioni competenti impongono di limitare la presenza del personale negli
uffici mediante, prevalentemente, il ricorso al lavoro agile. Con riguardo ai
compiti che richiedono la necessaria presenza sul luogo di lavoro, è previsto
che le amministrazioni svolgano le attività strettamente funzionali alla
gestione dell’emergenza e quelle “indifferibili”, anche con riguardo
“all’utenza esterna”. Pertanto, le attività di ricevimento o di erogazione
diretta dei servizi al pubblico devono essere garantite con modalità telematica
o comunque con modalità tali da escludere o limitare la presenza fisica negli
uffici (ad es. appuntamento telefonico o assistenza virtuale), ovvero,
predisponendo accessi scaglionati, anche mediante prenotazioni di appuntamenti.
Nel rispetto dei principi di protezione dei dati (art. 5
Regolamento UE 2016/679) la finalità di fornire agli utenti recapiti utili a
cui rivolgersi per assistenza o per essere ricevuti presso gli uffici, può
essere utilmente perseguita pubblicando i soli recapiti delle unità
organizzative competenti (numero di telefono e indirizzo PEC) e non quelli dei
singoli funzionari preposti agli uffici. Ciò, anche in conformità agli obblighi
di pubblicazione concernenti l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni.
4. QUALI TRATTAMENTI DI DATI PERSONALI SUL LUOGO DI
LAVORO COINVOLGONO IL MEDICO COMPETENTE?
In capo al medico competente permane, anche nell’emergenza,
il divieto di informare il datore di lavoro circa le specifiche patologie occorse
ai lavoratori.
Nel contesto dell’emergenza gli adempimenti connessi alla
sorveglianza sanitaria sui lavoratori da parte del medico competente, tra cui
rientra anche la possibilità di sottoporre i lavoratori a visite straordinarie,
tenuto conto della maggiore esposizione al rischio di contagio degli stessi, si
configurano come vera e propria misura di prevenzione di carattere generale, e
devono essere effettuati nel rispetto dei principi di protezione dei dati
personali e rispettando le misure igieniche contenute nelle indicazioni del
Ministero della Salute (cfr. anche Protocollo condiviso del 14 marzo 2020).
Nell’ambito dell’emergenza, il medico competente collabora
con il datore di lavoro e le RLS/RLST al fine di proporre tutte le misure di
regolamentazione legate al Covid-19 e, nello svolgimento dei propri compiti di
sorveglianza sanitaria, segnala al datore di lavoro “situazioni di particolare
fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti” (cfr. paragrafo 12
del predetto Protocollo).
Ciò significa che, nel rispetto di quanto previsto dalle
disposizioni di settore in materia di sorveglianza sanitaria e da quelle di
protezione dei dati personali, il medico competente provvede a segnalare al
datore di lavoro quei casi specifici in cui reputi che la particolare
condizione di fragilità connessa anche allo stato di salute del dipendente ne
suggerisca l’impiego in ambiti meno esposti al rischio di infezione. A tal
fine, non è invece necessario comunicare al datore di lavoro la specifica
patologia eventualmente sofferta dal lavoratore.
In tale quadro il datore di lavoro può trattare, nel
rispetto dei principi di protezione dei dati (v. art. 5 Regolamento UE
2016/679), i dati personali dei dipendenti solo se sia normativamente previsto
o disposto dagli organi competenti ovvero su specifica segnalazione del medico
competente, nello svolgimento dei propri compiti di sorveglianza sanitaria.
5. IL DATORE DI LAVORO PUÒ COMUNICARE AL RAPPRESENTANTE
DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA L’IDENTITÀ DEI DIPENDENTI CONTAGIATI?
I datori di lavoro, nell’ambito dell’adozione delle misure
di protezione e dei propri doveri in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro,
non possono comunicare il nome del dipendente o dei dipendenti che hanno
contratto il virus a meno che il diritto nazionale lo consenta.
In base al quadro normativo nazionale il datore di lavoro
deve comunicare i nominativi del personale contagiato alle autorità sanitarie
competenti e collaborare con esse per l’individuazione dei “contatti stretti”
al fine di consentire la tempestiva attivazione delle misure di profilassi.
Tale obbligo di comunicazione non è, invece, previsto in
favore del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, né i compiti sopra
descritti rientrano, in base alle norme di settore, tra le specifiche
attribuzioni di quest’ultimo.
Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza,
proprio nella fase dell’attuale emergenza epidemiologica, dovrà continuare a
svolgere i propri compiti consultivi, di verifica e di coordinamento, offrendo
la propria collaborazione al medico competente e al datore di lavoro (ad
esempio, promuovendo l’individuazione delle misure di prevenzione più idonee a
tutelare la salute dei lavoratori nello specifico contesto lavorativo;
aggiornando il documento di valutazione dei rischi; verificando l’osservanza
dei protocolli interni).
Il Rappresentate dei lavoratori per la sicurezza quando
nell’esercizio delle proprie funzioni venga a conoscenza di informazioni- che
di regola tratta in forma aggregata ad es. quelle riportate nel documento di
valutazione dei rischi- rispetta le disposizioni in materia di protezione dei
dati nei casi in cui sia possibile, anche indirettamente, l’identificazione di
taluni interessati.
6. PUÒ ESSERE RESA NOTA L’IDENTITÀ DEL DIPENDENTE AFFETTO
DA COVID-19 AGLI ALTRI LAVORATORI DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO?
No. In relazione al fine di tutelare la salute degli altri
lavoratori, in base a quanto stabilito dalle misure emergenziali, spetta alle
autorità sanitarie competenti informare i “contatti stretti” del contagiato, al
fine di attivare le previste misure di profilassi.
Il datore di lavoro è, invece, tenuto a fornire alle
istituzioni competenti e alle autorità sanitarie le informazioni necessarie,
affinché le stesse possano assolvere ai compiti e alle funzioni previste anche
dalla normativa d’urgenza adottata in relazione alla predetta situazione
emergenziale (cfr. paragrafo 12 del predetto Protocollo).
La comunicazione di informazioni relative alla salute, sia
all’esterno che all’interno della struttura organizzativa di appartenenza del
dipendente o collaboratore, può avvenire esclusivamente qualora ciò sia
previsto da disposizioni normative o disposto dalle autorità competenti in base
a poteri normativamente attribuiti (es. esclusivamente per finalità di
prevenzione dal contagio da Covid-19 e in caso di richiesta da parte
dell’Autorità sanitaria per la ricostruzione della filiera degli eventuali
“contatti stretti di un lavoratore risultato positivo).
Restano ferme le misure che il datore di lavoro deve
adottare in caso di presenza di persona affetta da Covid-19, all’interno dei
locali dell’azienda o dell’amministrazione, relative alla pulizia e alla
sanificazione dei locali stessi, da effettuarsi secondo le indicazioni
impartite dal Ministero della salute (v. punto 4 del Protocollo condiviso).
7. IL DATORE DI LAVORO PUÒ RICHIEDERE L’EFFETTUAZIONE DI
TEST SIEROLOGICI AI PROPRI DIPENDENTI?
Si, ma solo se disposta dal medico competente e, in ogni
caso, nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie, anche in
merito all’affidabilità e all’appropriatezza di tali test.
Solo il medico competente, infatti, in quanto professionista
sanitario, tenuto conto del rischio generico derivante dal Covid-19 e delle
specifiche condizioni di salute dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria,
può stabilire la necessità di particolari esami clinici e biologici e
suggerire l’adozione di mezzi diagnostici, qualora ritenuti utili al fine del
contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori (cfr.
par. 12 del Protocollo condiviso tra il Governo e le Parti sociali aggiornato
il 24 aprile 2020).
Resta fermo che le informazioni relative alla diagnosi o
all’anamnesi familiare del lavoratore non possono essere trattate dal datore di
lavoro (ad esempio, mediante la consultazione dei referti o degli esiti degli
esami), salvi i casi espressamente previsti dalla legge. Il datore di lavoro
può, invece, trattare i dati relativi al giudizio di idoneità alla mansione
specifica e alle eventuali prescrizioni o limitazioni che il medico competente
può stabilire come condizioni di lavoro.
Le visite e gli accertamenti, anche ai fini della
valutazione della riammissione al lavoro del dipendente, devono essere posti in
essere dal medico competente o da altro personale sanitario, e, comunque, nel
rispetto delle disposizioni generali che vietano al datore di lavoro di
effettuare direttamente esami diagnostici sui dipendenti.
Resta fermo che i lavoratori possono liberamente aderire
alle campagne di screening avviate dalle autorità sanitarie competenti a
livello regionale relative ai test sierologici Covid-19, di cui siano venuti a
conoscenza anche per il tramite del datore di lavoro, coinvolto dal
dipartimento di prevenzione locale per veicolare l’invito di adesione alla
campagna tra i propri dipendenti (cfr. FAQ n. 10 – Trattamento dati nel contesto sanitario
nell’ambito dell’emergenza sanitaria).
I datori di lavoro possono offrire ai propri dipendenti,
anche sostenendone in tutto o in parte i costi, l’effettuazione di test
sierologici presso strutture sanitarie pubbliche e private (es. tramite la
stipula o l’integrazione di polizze sanitarie ovvero mediante apposite
convenzioni con le stesse), senza poter conoscere l’esito dell’esame.
8. IL DATORE DI LAVORO PUÒ TRATTARE I DATI PERSONALI DEL DIPENDENTE
AFFETTO DA COVID-19 O CHE NE PRESENTA I SINTOMI?
Sebbene, di regola, i dati personali relativi alle
specifiche patologie di cui sono affetti i lavoratori possano essere trattati
solo da professionisti sanitari (es. medici di base, specialisti, medico
competente) e non anche dal datore di lavoro, quest’ultimo, in taluni casi, nel
contesto dell’attuale emergenza epidemiologica, può lecitamente venire a
conoscenza dell’identità del dipendente affetto da Covid-19 o che presenta
sintomi compatibili con il virus.
Ciò, in particolare, può verificarsi quando ne venga
informato direttamente dal dipendente, sul quale grava l’obbligo di segnalare
al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la
sicurezza sui luoghi di lavoro. Coerentemente il Protocollo condiviso tra il
Governo e Parti sociali aggiornato il 24 aprile 2020, la cui osservanza è
prescritta dalla normativa dell’emergenza, prevede specifici obblighi
informativi del lavoratore in favore del datore di lavoro laddove sussistano
condizioni di pericolo, come i sintomi influenzali (si vedano anche gli
analoghi protocolli stilati in ambito pubblico e quelli relativi a specifici
settori, quali cantieri, trasporti e logistica); ciò anche quando tali sintomi
si manifestino all’ingresso della sede di lavoro o durante la prestazione
lavorativa (cfr. Protocollo condiviso, es. parr. 1, 2 e 11). A tal fine, il
datore di lavoro può quindi invitare i propri dipendenti a fare tali
comunicazioni agevolando le modalità di inoltro delle stesse, anche
predisponendo canali dedicati, tenendo conto del proprio generale obbligo di
tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro, ai sensi dell’art. 2087
c.c. e del d.lgs. 81/2008 (cfr., anche FAQ
n. 2).
Il datore di lavoro potrebbe, inoltre, venire a conoscenza
dello stato di positività al Covid-19 accertato dalle autorità sanitarie a
seguito dell’effettuazione di un tampone oro/nasofaringeo, nell’ambito della
collaborazione che è tenuto a prestare a tali autorità, anche con il
coinvolgimento del medico competente, per la ricostruzione degli eventuali contatti
stretti con altre persone nel contesto lavorativo (cfr. par. 11 del Protocollo
del 24 aprile 2020).
Il datore di lavoro può, altresì, conoscere lo stato di
avvenuta negativizzazione del tampone oro/nasofaringeo, ai fini della
riammissione sul luogo di lavoro dei lavoratori già risultati positivi
all’infezione da Covid-19, secondo le modalità previste e la documentazione
rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza (cfr.
par. 2 e 12 del Protocollo del 24 aprile 2020).
In questi casi, dunque, il datore di lavoro può trattare i
dati relativi ai sintomi o alla positività al Covid-19 del lavoratore per la
finalità di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro o per adempire agli
obblighi di collaborazione con gli operatori di sanità pubblica.
Al di fuori dei casi normativamente previsti, il datore di
lavoro non può, invece, trattare dati sulla salute del lavoratore e comunicare
gli stessi a soggetti terzi (cfr. FAQ nn. 5, 6).
In base alle norme in materia di sorveglianza sanitaria, non
derogate da quelle dell’emergenza, il datore di lavoro non può, inoltre,
conoscere l’esito degli esami diagnostici disposti dal medico competente, tra i
quali anche i test sierologici, che non consentono, peraltro, di
diagnosticare l’infezione (cfr. FAQ n. 7).
Resta fermo che, ove all’esito del test sierologico sia
disposta l’effettuazione di un tampone che attesti la positività al virus, il
datore di lavoro potrà conoscere, oltre alla valutazione del medico competente
in merito all’inidoneità al servizio, anche l’identità del dipendente nei casi
sopra esplicitati (cfr. Protocollo condiviso, parr. 1, 2, 11 e 12), di seguito
riepilogati.
Alla luce del quadro normativo vigente, il datore di lavoro
può quindi trattare i dati personali del dipendente affetto da Covid-19 o che
ne presenta i sintomi e può conoscere la condizione di positività al Covid-19:
– quando ne venga informato direttamente dal lavoratore; o
– nei limiti in cui sia necessario al fine di prestare la
collaborazione all’autorità sanitaria; o
– ai fini della riammissione sul luogo di lavoro del
lavoratore già risultato positivo all’infezione da Covid-19.
9. SONO UTILIZZABILI APPLICATIVI CON FUNZIONALITÀ DI
“CONTACT TRACING” IN AMBITO AZIENDALE?
La funzionalità di “contact tracing”, prevista da alcuni
applicativi al dichiarato fine di poter ricostruire, in caso di contagio, i
contatti significativi avuti in un periodo di tempo commisurato con quello
individuato dalle autorità sanitarie in ordine alla ricostruzione della catena
dei contagi ed allertare le persone che siano entrate in contatto stretto con
soggetti risultati positivi, è − allo stato − disciplinata unicamente dall’art.
6, d.l. 30.4.2020, n. 28.
10. AL FINE DI CONTENERE IL RISCHIO DI CONTAGIO SUL LUOGO
DI LAVORO SONO DISPONIBILI APPLICATIVI CHE NON TRATTANO DATI PERSONALI?
Sì, il datore di lavoro può ricorrere all’utilizzo di
applicativi, allo stato disponibili sul mercato, che non comportano il
trattamento di dati personali riferiti a soggetti identificati o
identificabili. Ciò nel caso in cui il dispositivo utilizzato non sia associato
o associabile, anche indirettamente (es. attraverso un codice o altra
informazione), all’interessato né preveda la registrazione dei dati trattati.
Si pensi alle applicazioni che effettuano il conteggio del
numero delle persone che entrano ed escono da un determinato luogo, attivando
un “semaforo rosso” al superamento di un prestabilito numero di persone
contemporaneamente presenti; oppure alle funzioni di taluni dispositivi
indossabili che emettono un avviso sonoro o una vibrazione in caso di
superamento della soglia di distanziamento fisico prestabilita (dunque senza
tracciare chi indossa il dispositivo e senza registrare alcuna informazione).
Si pensi, altresì, ad applicativi collegati ai tornelli di ingresso che,
attraverso un rilevatore di immagini, consentono l’accesso solo a persone che
indossano una mascherina (senza registrare alcuna immagine o altra
informazione). In questi casi spetta comunque al titolare verificare il grado
di affidabilità dei sistemi scelti, predisponendo misure da adottare in caso di
malfunzionamento dei dispositivi o di falsi positivi o negativi.
FONTE: Garante Privacy